GESTALT ED EMOZIONI |
la “logica” del sentire
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Sentire è un’operazione che condividiamo con gli animali: emozioni e sensazioni ci danno una conoscenza diretta del mondo, che è insostituibile per vari motivi, fra cui quello che è la fonte del piacere di vivere: vivere senza sentire è solo l’ombra della vita. Pensare invece si fa con una parte del cervello che si è evoluta solo nella razza umana, e quindi è relativamente recente nella storia della vita sulla terra. Pensare pone ogni cosa al centro di una rete vastissima di significati, e apre possibilità straordinarie alle persone. Quello che non può fare, è dare sensazioni: per quanto si pensi, la vita non diventa più soddisfacente. L’uomo è un dio quando sogna (quando cioè sta in contatto con la percezione sensoriale delle immagini della realtà), un mendicante quando pensa, diceva Holderlin. Certo un’ottica pragmatista permette di avere ragione più facilmente, dato che prende in considerazione le contingenze esistenziali dell’interlocutore, ma la problematica esperienziale non può essere contenuta e gestita solo logicamente, cioè semplicemente tramite algoritmi, per quanto complessi siano, essendo l’esperienza qualcosa di vivo, che analizzato, cioè scomposto in parti, diventa morto. Così la Psicoterapia della Gestalt implica necessariamente una conoscenza fenomeno-logica del mondo. Una delle difficoltà consiste in genere nel fatto che conoscendo fenomenologicamente si è costretti a conoscere contemporaneamente anche se stessi, e non si può rimanere in posizione asettica o comunque fuori dal contesto del rapporto. Ma in che consiste la logica dei fenomeni, cioè in definitiva, la logica del sentire? Heidegger ha legato indissolubilmente la fenomenologia all’esistenzialismo. Qui il problema non è l’essere, ma l’esistere, cioè l’essere nel tempo. Una logica del sentire si svolge all’insegna della realtà organismica di chi esperisce: è una logica non estraibile dalle innumerevoli esperienze che l’organismo ha fatto prima. E’ logico per esempio che una persona aggredita si arrabbi: è cioè plausibile e probabile, ma non è certo. Se non è certa la reazione, infinite sono poi le modalità che questa reazione può assumere in ognuno, in parte secondo tradizione, in parte secondo libera scelta. La logica dei fenomeni non è altro che l’arte del sentire, cioè l’organizzazione dell’esperienza in insiemi dotati di senso esistenziale: come afferma Merleau Ponty, percepire è un’espressione, dato che sentire è una restituzione a se stessi dell’esperienza in corso. Esprimersi, dunque, significa assumersi la responsabilità di tutto ciò che accade nel mondo interno e di tutto ciò che si esprime anche attraverso il proprio comportamento nel mondo esterno. Molto spesso il concetto di espressione viene scambiato per “dico tutto ciò che mi passa per la mente”. La Gestalt lavoro molto sul mondo emozionale, ma non perché non dà credito al mondo cognitivo, al mondo intellettivo, ma perché il mondo emozionale è il mondo che meno si sviluppa, a cui si è meno allenati; ciò non toglie che questo vada poi integrato con il mondo cognitivo. Tutto questo per dire che occorre chiedersi se ciò che si vuole esprimere ha senso o non ha senso per sé, cioè se ciò che si vuole esprimere va incontro a ciò che sta accadendo e che cosa può venirne indietro: in buona sostanza a cosa serve quell’espressione. Ne consegue che esprimere se stessi non ha niente a che vedere con l’aprire bocca e dargli fiato, ma significa che si è in contatto con il proprio mondo interno, in modo consapevole e lo si lascia fluire, accettando la responsabilità dell’interazione con gli altri del proprio flusso emozionale. In questo senso esprimersi ha molto a che fare con il ben-essere del proprio corpo, oltre che della propria psiche. Se si riesce, infatti, ad esprimersi momento dopo momento, consapevolmente ed accettando che il mondo non sempre corrisponde alle proprie aspettative e che quindi non sempre fluisce in armonia con la propria espressione, si permette anche al proprio corpo di essere costantemente libero da pesi, da arretrati, da nodi allo stomaco, permettendo così di fluire con la situazione. Micro-esercitazione: siamo abituati a credere che lì c’è il mare, ma di fatto il mare lo creiamo con i nostri occhi nel momento in cui indirizziamo lo sguardo in quella direzione. In questo momento se io non l’avessi nominato, voi non eravate in contatto con il mare e quindi il mare non c’era. Quello che c’è esiste nel nostro mondo interno nella misura in cui siamo in grado di crearlo, attraverso i nostri sensi e attraverso le nostre emozioni. Un’altra teoria della conoscenza integrativa all’esistenzialismo è il costruttivismo, il quale afferma che la conoscenza permette di interagire con la realtà: io sento questo, a te fa questo effetto, a me questo fa quest’altro effetto e si tesse una relazione, cioè una persona fa delle affermazioni, ha una posizione nel mondo, un’altra persona prende atto, interagisce e tesse con questa posizione una co-costruzione. Il derivato fondamentale è un cambiamento radicale dell’idea di verità: la verità non assoluta, ma narrativa. E’ uguale in campo estetico, dove non ci sono leggi ed è uguale in campo etico, dove non esiste oggettività. Per diventare un artista bisogna stare dentro l’esperienza, imparando a capire cosa piace; il gusto estetico di un pittore lo si vede nel quadro che sta facendo, il gusto etico lo si vive stando dentro il fenomeno. Entrambi non sono mai astratti dal contesto, ma sono relativi alla percezione dell’insieme dei fatti che fanno una situazione, dell’insieme di se stessi, delle cose e delle persone implicate. Come si può percepire qualcun altro? Attraverso l’empatia che è la capacità di mettersi nei panni dell’altro; un po’ come un quadro, che nasce non solo da colori e linee, ma dalla tensione viva che c’è fra i colori e le linee. E’ impressionante osservare la miopia emozionale di tanti esseri umani: quanto cioè sia difficile per molti identificare con accuratezza le proprie emozioni e quanto sia frequente rimanere, al contrario, incapsulati nell’involucro di pensieri che alle emozioni si riferiscono. “Pelare la cipolla” è una metafora della Gestalt che esprime il lavoro necessario per risalire dalle bucce di superficie ai vissuti più profondi e primari che generalmente si nascondono sotto strati sovrapposti di meccanismi evitativi ed automanipolatori. E’ dire che cittadini della nazione uomo sono gli istinti, che non possono essere ignorati senza pesanti conseguenze. Un istinto non è altro che un bisogno primario, cioè inscritto nel codice genetico della specie. Nell’etologia il funzionamento dell’istinto viene descritto come la combinazione di tre componenti: un elemento attivante esterno, un meccanismo scatenante innato e un movimento scatenante. Si tratta di un’evoluzione del meccanismo del riflesso. I riflessi infatti si limitano a reagire a uno stimolo, cioè a un elemento attivante esterno, mentre nel caso degli istinti l’essere vivente si porta dietro una vera e propria sorgente di stimoli. Fra questi c’è inoltre un programma genetico chiamato comportamento esplorativo che consiste nella spinta a cercare, provare, indagare, senza uno scopo preciso, senza una precisa selezione degli stimoli in base ad un bisogno: questo permette all’organismo di imbattersi in una grande varietà di elementi esterni in grado di attivare i vari meccanismi scatenanti innati e di aumentare quindi l’attività e la vitalità. Per essere ancora più precisi c’è anche differenza fra bisogno e desiderio. Si può avere per esempio bisogno di magiare, ma non si può avere bisogno di una torta alla crema, che invece si può solo desiderare. Il bisogno non è differenziato nell’oggetto, ma solo nella finalità dell’oggetto. Dal punto di vista della sopravvivenza infatti l’importante è che l’organismo si nutra, non di cosa si nutre, entro naturalmente i limiti della tolleranza fisica. Il desiderio è qualcosa che riguarda invece un momento più avanzato dello sviluppo psichico, dove diventano significativi elementi secondari come la forma, il colore, il sapore. Un esempio ovvio è la differenza fra avere bisogno di un mezzo di locomozione e desiderare una Ferrari: nel secondo caso accanto al bisogno di spostarsi c’è quello di dare un’immagine di sé alla guida di una Ferrari, che può evidentemente essere importante per ragioni narcisistiche o per necessità di rappresentanza o per chissà che altro ancora. Per essere ancora più precisi c’è anche differenza fra emozioni e sensazioni. Le emozioni sono costituite da specifici, complessi insiemi di sensazioni caratterizzati dall’intenzionalità della risposta. Le sensazioni infatti danno informazioni sul mondo senza implicare una reazione specifica: per esempio se toccando qualcosa con una mano senti una sensazione di morbidezza, non c’è una cosa precisa che ti viene da fare. Quando invece senti paura stai avendo delle informazioni che determinano quel comportamento istintivo complesso e definito nello scopo di evitare il pericolo che è la fuga: questa è un’emozione. Le emozioni corrispondono quindi a meccanismi innati che mettono in moto comportamenti funzionali alla sopravvivenza, tarati su specifici elementi attivanti e orientati su specifici scopi: elementi attivanti e scopi che possono essere nel piano del reale oppure in quello simbolico. Si può quindi concludere che il potere del pensiero è relativo nei confronti della vita emotiva: si può decidere che cosa pensare, ma non che cosa sentire.
dr. Carla Piccini - Psicologa Psicoterapeuta
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